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Emanuele L. Basso Ricci

L’élite hedge sopravvive: con il VIX ai minimi da un ventennio ma tanta incertezza, performance non


C’erano una volta gli hedge funds, quei fondi spesso dipinti (senza nemmeno tanta fantasia in effetti) come l’esempio della finanza senza scrupoli ma, de facto, massima espressione di una gestione attiva aggressiva e soprattutto, per definizione, profittevole in grado persino di influenzare i mercati a propria discrezione ad esempio con attacchi speculativi mirati. Ormai da diversi anni, tuttavia, i fondi hedge non corrispondono più a questa descrizione e l’attenzione degli investitori così come quella di chi si occupa di proteggere i mercati si sono rivolte soprattutto altrove: i timori circa l’aggressività degli speculatori hanno lasciato il posto all’indagine delle implicazioni siste miche della diffusione della replica passiva che ha nel contempo sottratto importanti fette di mercato alla gestione attiva ormai in ogni sua declinazione, ma solo di recente anche negli investimenti “alternativi” partendo dalle strategie smart beta. Elevate commissioni fisse integrate da altre basate sulla performance (nell’ordine del 20%), soglie minime d’ingresso estremamente elitarie, opacità e limiti alla vendita delle quote sono però caratteristiche proprie esclusivamente dei fondi hedge e restano tollerabili soltanto a fronte di performance sopra la media, mentre costituiscono un fardello che non rientra nel DNA degli ETF, oggi neppure di quelli più complessi. Anni di risultati discutibili, in parte motivati da mercati scarsamente volatili, sempre più complessi e interconnessi, dominati dall’interventismo delle banche centrali ma anche alcuni fattori specifici come l’andamento del prezzo del petrolio o il rallentamento dell’economia cinese nel 2016, hanno dunque spinto molti investitori a non considerare più appetibili larga parte di questi prodotti non solo in riferimento ad alcune specifiche strategie da questi impiegate, ma anche in funzione del modello di business, spingendo inevitabilmente il settore verso una necessaria contrazione (non concentrazione, come accade invece nel mercato ETF) che lascerà spazio solo a chi saprà adattarsi. Più che di gestori “leggendari” parleremo di modelli di gestione basati su un supporto tecnologico più evoluto (quant) e della necessaria revisione del business verso una connotazione, in generale, meno elitaria che passa innanzitutto per un regime commissionale meno esoso anche per questa particolare nicchia della gestione attiva. Scartati già nel 2014 (e sostituiti da una serie di investimenti smart beta non ETF per ventotto miliardi di dollari) da quello che è il più grande fondo pensione degli USA, ossia il California Public Employees' Retirement System, perché troppo complesse e onerose, queste soluzioni d’investimento portavano il fondo ad iscrivere a bilancio, in funzione di una posizione indicativamente intorno ai quattro miliardi di dollari, costi fino a 135 milioni di dollari annui. Il CalPERS, in quell’occasione, rese noti anche i risultati di queste gestioni: il 7.1% di rendimento a fronte, però, di una media del 11% registrata dai fondi hedge nello stesso anno ma soprattutto di uno S&P 500 che, nello stesso periodo, aveva segnato il +30%. Notoriamente gli hedge sono disegnati per rispondere al meglio in condizioni di volatilità o inversione (incorrelati al mercato) e non in fasi di ripresa dei corsi prolungate, ma nel 2014 erano quattro gli anni consecutivi con il segno più e l’equity era diventata molto costosa mentre i bond yields erano ai minimi storici: è facile capire perché, anche al di la delle spese, la performance della stragrande maggioranza di questi prodotti non sia stata già allora in grado di eguagliare neppure i risultati della replica passiva degli indici. Non a caso, già l’anno successivo (2015), con AUM prossimi a raggiungere i tremila miliardi di dollari, i replicati pareggiavano il totale globalmente investito in fondi hedge grazie ad una crescita media intorno al 27% per anno mentre, a fine 2016, con il record di afflussi netti annui per oltre 290 miliardi di dollari raggiunti a livello globale, il sorpasso in termini di asset under management era già completato a 3500 miliardi (oggi siamo oltre 4000) per i replicanti. Gli hedge funds, invece, chiudevano il 2016 con oltre ottanta miliardi di dollari in deflussi, un record anche in questo caso ma negativo e paragonabile solo a quanto visto nel 2009 in pieno terremoto finanziario. In soli ventisette anni dalla sua nascita, ma a ben guardare molti meno visto che la vera e propria accelerazione si è avuta solo con la crisi del 2007, l’industria ETF ha surclassato in termini di asset quella “storica “ (nata nel 1920) dei fondi hedge, secondo recenti stime attualmente intorno agli 8200 prodotti (comunque superiore al numero di ETF in circolazione). Al di la di questi dati, ad oggi entrambe le industrie evidenziano però flussi in ingresso positivi con gli ETF che in questa prima metà del 2017 quasi doppiano in termini di afflussi gli hedge proprio con un deciso contributo delle soluzioni smart beta single e multi factor mentre l’industria hedge a luglio ha archiviato il primo trimestre (2Q17) con afflussi netti positivi dall’estate del 2015, riportando così il saldo YTD di quest’anno in positivo dopo i riscatti visti nel primo trimestre con AUM ormai oltre quota tremila cento miliardi di dollari. Si tratta di una cifra molto vicina ai massimi storici per gli asset di questa categoria d’investimento. In termini di rendimento, il HFRI Fund Weighted Composite Index, un indice proprietario Hedge Fund Research che include 2000 hedge fund basati su tutte le principali strategie d’investimento pesati in base agli asset in gestione, ha raggiunto l’ottavo mese consecutivo in guadagno, una serie positiva che non si registrava dal 2004 e che ha portato solo nella prima metà di questo 2017 ad un +3.6% spinto in primis dal rendimento derivante da strategie equity hedge. Le strategie event driven ma soprattutto le “storiche” global macro continuano invece a deludere: dopo aver reso in media meno dell’1% annuo negli ultimi cinque anni, a giugno i fondi macro hanno incontrato forti perdite, con nomi del calibro di Caxton Associates che annunciano i peggiori risultati mai raggiunti anche su base semestrale, ossia -10.4%. Le allocazioni maggiori (5.2 miliardi in questo ultimo trimestre e 6 miliardi da inizio anno) si orientano, oltre che su prodotti quantitative anche global macro trend following che tipicamente mostrano bassa correlazione con i mercati azionari e con le altre strategie hedge oltre che tradare su più categorie di strumenti fixed income, equities, commodities and currencies (multi asset): le macro strategie arrivano oggi a gestire asset per 579.2 miliardi di dollari globalmente e nel primo trimestre dell’anno proprio le macro hanno registrato i maggiori inflows dal 2010. Le strategie equity hedge invece rimangono nel complesso quelle preferite dagli investitori evidenziando AUM a quota 893 miliardi pur restando al secondo posto per afflussi trimestrali con 3.8 miliardi. Positive anche le nuove allocazioni in fixed (per lo più Relative Value Arbitrage (RVA) strategies) seconda maggiore area di investimento con 827 miliardi di dollari totali investiti e 1.6 miliardi in ingresso nell’ultimo trimestre, questi non sufficienti a cancellare i forti outflows dei primi tre mesi dell’anno per oltre 5 miliardi di dollari. Le strategie event driven, come anticipato, hanno mostrato deflussi netti in questo secondo trimestre dell’anno pur mantenendosi a 800 miliardi di AUM globali. Secondo Hedge Funds Research, le posizioni riflettono l’interesse degli investitori per una protezione dal rischio tasso sui bond e per la riduzione dell’equity beta, in generale, evitando strategie direzionali. I fondi hedge in questa prima metà dell’anno tornano dunque, dopo molto tempo, ad incontrare l’interesse del pubblico, ma bisogna constatare che, al di la dei gravi problemi delle strategie global macro, in media, neppure le stesse equity strategies mostrano rendimenti non in grado di giustificare i costi di una gestione attiva “di lusso” in quanto, anche in questa prima parte del 2017 i risultati si sono dimostrati comunque inferiori a quelli ottenibili dalla replica di uno dei maggiori più importanti indici di mercato come appunto lo S&P 500, posizioni queste in assoluto tra le più più cheap da acquisire a mezzo di ETF. Fa riflettere anche il fatto che proprio le gestioni quant che, per definizione, riducono al minimo l’operato dei gestori (gestione attiva discrezionale), siano tra quelle che hanno raccolto maggiori capitali: Bridgewater Associates, 122 miliardi di dollari in gestione , parla di una crescita degli AUM del 17% in questo 1H del 2017 rispetto a quanto registrato nella prima metà del 2016 , mentre Two Sigma ha visto un aumento degli asset del 28% mentre Renaissance Technologies addirittura del 42%. Anche se ormai il 20% del capitale investito in fondi hedge si riversa sui mercati in base a scelte quant, le performance, tuttavia, non sono, secondo Bloomberg , in media tali da giustificare questo successo, anzi sarebbero in peggioramento dopo anni di discreto successo, e i costi al pubblico non sono oggi inferiori a quello degli altri prodotti concorrenti (anche se l’impiego di algoritmi dovrebbe, in teoria, ridurre i costi, come la replica passiva riesce a fare negli ETF…). Probabilmente tale successo, oltre che la diretta implicazione dell’impossibilità di gestire in modo del tutto discrezionale mercati dominati dal trading algoritmico, è la rappresentazione stessa della mancanza di fiducia per la gestione attiva che ha caratterizzato gli ultimi anni oltre che il risultato della presa di coscienza che la competizione sui mercati si svolge tra algoritmi e sistemi automatizzati laddove il vantaggio derivante dalle scelte di un gestore può, nel tempo, costituire addirittura un minus. Per arrestare l’avanzata di soluzioni ETF smart beta multifattoriali anche in campo hedge, repliche rule based con le quali i quant hanno in comune la non discrezionalità, ossia per sopravvivere, la maggioranza dei fondi hedge deve necessariamente rinnovare il modello di business e fare proprio, come i replicanti, anche un regime commissionale più adeguato. Già nel 2016 i risultati non esaltanti e i forti deflussi avevano spinto ad una riduzione dal 1.57% all’1.51% delle management fee medie praticate da questi fondi ma, secondo un recente sondaggio riportato nella Preqin Hedge Funds Managers Survery di fine 2016, il 76% dei professionisti del settore vedeva il 2017 come un anno durante il quale sarebbe stato necessario intensificare ulteriormente gli sforzi in termini di riduzione delle fees per tornare realmente competitivi. Sempre secondo Preqin, il consenso in merito ad un ridimensionamento delle commissioni non è però altrettanto condiviso quando si parla di performance fee. L’intreccio tra ETF e fondi hedge è comunque già molto più stretto di quanto si possa pensare. Gli ETF figurano già oggi tra i principali lenders che sostengono con le proprie risorse la disponibilità di securities per lo short selling operato, in primis, proprio dagli hedge oltre che essere destinati a supportare queste operazioni pure costituendo una sempre più versatile e liquida alternativa nell’inedita veste di collateral alle stesse SFT.

Gli stessi hedge, come del resto i gestori attivi, impiegano già massicciamente gli ETF nelle loro attività: il 92% degli execuives di questi fondi, secondo un’indagine condotta da PollRight per Source ETF, prevede che, grazie alla crescita che vedrà protagonisti i replicanti nei prossimi anni (che potrebbe portarli nel 2020 già a quota 5000 miliardi di dollari di AUM ed entro 2024, secondo Moody’s, addirittura ad un incremento nell’ordine del 50%), l’impiego degli stessi da parte dei fondi hedge sia destinata ad aumentare fino anche al 60% nello scenario più ottimistico rispetto a i dati sopra visti per il 2016. Interessante notare come tra i principali utilizzatori figurino proprio moltissime gestioni quant: macchine che investono in repliche passive o smart beta rule based. Bank of America Merrill Lynch stila un elenco dettagliato dei top ETF oggetto d’investimento da parte delle gestioni alternative: iShares MSCI Emerging Markets ETF con il 25,12% e Vanguard FTSE Emerging Markets Fund ETF con il 24, 12% del capitale proveniente da investimenti hedge si dividono il primato delle posizioni long e dobbiamo scendere di oltre il 10% per incontrare gli investimenti nell’ iShares Russell 3000 ETF (11.10%) e in SPDR Gold Shares (11.10%) per poi vedere bond ETF solo intorno all’uno e mezzo percento. Le posizioni short sugli ETF sono più consistenti, e vanno a concentrarsi soprattutto sui prodotti più tradizionali e liquidi in assoluto come PowerShares QQQ Trust e SPDR S&P 500 ETF per citare i più apprezzati. La creazione di un mercato finanziario finalmente integrato anche in Europa e la crescita dei sistemi finanziari nei paesi emergenti, che stanno dando segnali di apertura importanti proprio negli ultimi mesi, daranno ulteriore impulso all’impiego degli ETF. Liquidità in aumento (anche in taluni casi superiore a quella dei sottostanti) e fee ridotte sono caratteristiche estremamente attraenti, a maggior ragione per i fondi di hedge di dimensioni più ridotte, ossia quelli che costituiscono la stragrande maggioranza del panorama hedge, primi ad essere esposti alla concorrenza ETF e sempre alla ricerca di maggiore competitività nonostante masse in gestione ridotte. Quanto alle alternative ETF hedge oggi disponibili, bisogna innanzitutto chiarire che un ETF non può investire in fondi hedge, ma può agire come uno di questi ossia attuare (quando possibile) quelle strategie acquistando/vendendo direttamente gli asset e gestendoli secondo i dettami di una gestione attiva o replicando un indice su queste strutturato. IQ Hedge Multi-Strategy Tracker ETF di IndexIQ Advisors LLC’s, lanciato sul NYSE Arca nel 2009 e unico prodotto ETF Hedge a vantare oggi AUM oltre il miliardo di dollari, si presenta come un ETF di ETF che replica (nel dettaglio la modalità di replica è la hedge fund replication) il proprietario IQ Hedge Multi-Strategy Index, un indice altamente complesso che impiega, a seconda del caso, pressoché la totalità delle strategie hedge come esplicitate nei vari indici IQ. Il patrimonio dell’ETF è costituito da altri ETF e il prodotto evidenzia un beta dello 0.29 rispetto allo S&P 500 ed effettua ribilanciamenti solo mensili ( dettagli strategie mensili applicate e peso relativo in tabella).

JP Morgan AM, tra i maggior gestori di fondi hedge, ha da poco dichiarato di essere pronta al lancio di ETF single strategy attivi in Europa accessibili anche alla clientela retail e basati sulle strategie impiegate dal suo fondo alternative beta denominato JPMorgan Funds – Systematic Alpha Fund con lo scopo di replicare il successo del suo Diversified Alternatives ETF, lanciato negli USA nel settembre dello scorso anno e quotato sul circuito Bats. Quest’ultimo si propone come un ETF multistrategy attivamente gestito in grado di offrire strategie long short, event driven e global macro (quindi due chiaramente direzionali e una non direzionale )con dividendi distribuiti. JP Morgan chiarisce che il fondo appartiene alla categoria alternative beta o hedge fund beta il che, come anticipato, è molto diverso da un approccio di hedge fund replication. La rinnovata attenzione per soluzioni hedge low cost ha spinto anche altre firms ad ampliare la gamma prodotti in tal senso. Goldman Sachs Hedge Industry VIP ETF, lanciato a luglio da Goldman Sachs AM e costruito su un indice proprietario che seleziona le azioni quotate in USA in base alla loro presenza nelle top ten holdings dei portafogli hedge più blasonati, è solo uno dei possibili esempi. Ad oggi gli investitori europei hanno ancor meno alternative di quante siano disponibili oltreoceano. Queste si sostanziano soprattutto in X-trackers Hedge Fund Index UCITS ETF (AUM oltre i 200 milioni ), che traccia, per un TER dello 0.9%, un indice costruito su strategie equity long/short, event-driven, global macro e credit , dall’ UBSETF HFRX Global Hedge Fund Index UCITS ETF replicante il HFRX Global Hedge fund Index ossia la performance di 39 fondi hedge basati su una grande varietà di strategie ( TER solo lo 0.34%).


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