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Emanuele L. Basso Ricci

Smart beta al costo di un plain vanilla? Moody’s avverte sui rischi di una nuova corsa al ribasso s


Mentre gli ETF continuano a trionfare nella raccolta ai danni della gestione attiva e la fee war imperversa da quasi un anno tra gli stessi issuers, negli USA si cominciano a vedere i segnali dell’inasprirsi del confronto anche in campo smart beta.

Giovedì quindici settembre, Moody’s, nel suo consueto Sector Comment settimanale, ha deciso di portare all’attenzione una problematica già in parte affrontata dall’agenzia, seppur indirettamente, in occasione del recente downgrading inflitto al senior debt targato Templeton (da un anno anche emittente di ETF), ossia le implicazioni negative che una eccessiva riduzione delle fee avrebbe sui margini dei relativi issuer e sulle relative valutazioni di rating. Il riferimento, in questo caso, non riguarda solo gli ETF tradizionali, ma, appunto, i sempre più diffusi smart beta, insomma la più recente evoluzione della specie. E’ noto che single e multifactor beta stanno già osservando una dinamica di contrazione dei costi alla clientela, ma questa fino ad oggi si è dimostrata più contenuta rispetto a quanto visto sui prodotti tradizionali che sono ormai offerti con expense ratio anche inferiori allo 0.10%. Insomma, in media, gli ETF smart beta, anche in ragione della maggiore complessità, non possono ancora considerarsi oggi un prodotto cheap: Moody’s, prendendo in esame i 100 prodotti più grandi, calcola infatti un expense ratio media dello 0.33% (0.27% se non si esclude Vanguard dal calcolo) mostrando costi che oscillano in generale tra lo 0.20% e lo 0.40% annuo con soltanto i dieci prodotti smart beta più grandi, e dunque più competitivi, in grado di minimizzare le spese fino a una media dello 0.18%. Le expense ratio richieste dalla maggior parte degli smart beta restano dunque pari alla metà di quanto richiesto da una gestione attiva tradizionale (concorrente diretta soprattutto per i multifactor) e sono pertanto già più che allettanti per gli investitori che considerano le repliche rule based un’alternativa concreta. Negli ultimi due anni, però, la diffusione sempre maggiore di smart beta single factor e da quest’anno anche multifactor (questi ultimi hanno preso il posto delle strategie dividend quali allocazione privilegiata per i nuovi investimenti smart beta) insieme con la conseguente competizione, hanno spinto gli issuer più grandi a prendere posizione anche sulla nicchia di mercato rappresentata dall’offerta di questi prodotti, e specificatamente di strategie value, growth e high dividend , a costi anche inferiori allo 0.10% annuo. In sostanza, questi prodotti si sono dimostrati in grado di accumulare ingenti AUM e volumi di trading sufficienti a giustificare spese tanto contenute. Parliamo comunque di un numero estremamente ridotto di ETF, che tra iShares, Vanguard (leader con oltre 70 miliardi di dollari investiti nei suoi tre prodotti SB sotto lo 0.10%), Schwab (anche questa storicamente improntata su un'offerta low cost) e la stessa Goldman non supera la decina. Tuttavia, qualcosa sta cambiando. Il commento di Moody’s fa esplicito riferimento all’annuncio della prossima quotazione sul circuito Bats (sarebbe poi avvenuta il giorno 12/9), da parte di Goldman Sachs AM, di un nuovo ETF della gamma smart beta low cost dell’asset manager, il Goldman Sachs Equal Weight U.S. Large Cap Equity ETF (un equal weighted su titoli large cap a stelle e strisce che replica il Solactive US Large Cap Equal Weight Index) per il quale GSAM richiede infatti, già in fase di prima quotazione, solo lo 0.09% di spese annue. Si tratta di meno della metà di quanto richiesto per accedere a prodotti assimilabili gestiti dalla concorrenza tra i quali il famoso Guggenheim S&P 500 Equal Weight ETF , tra gli smart beta più grandi (oltre 13.5 miliardi di dollari di AUM) e che oggi è disponibile sul mercato al costo dello 0.20% annuo.

Se pensiamo che il prodotto Guggenheim era già stato costretto a dimezzare le spese dallo 0.40% nel giugno scorso, la spinta al ribasso in atto è ancor più evidente.. Ma non finisce qui. Osservare prodotti smart beta sotto il livello simbolo dello 0.10% colpisce a maggior ragione in quanto questo livello di spese coincide con quanto mediamente richiesto su un prodotto plain valilla di successo, quelli più diffusi e cheap in assoluto. A titolo di esempio, le spese coincidono infatti con quelle dell’ETF tradizionale (market cap weighted) più grande e più scambiato, ossia il noto SPY, lo State Street Corp. S&P 500 ETF Trust con AUM per 246 miliardi di dollari. L’offensiva di GSAM colpisce anche perché mirata a rompere nuovamente lo status quo del mercato smart beta “aggredendo” un prodotto simbolo riproponendo quanto già visto l’inverno scorso quando iShares era stata costretta a ridurre di molto le fee richieste su buona parte dell’ offerta multifactor proprio per arginare il divario con GSAM anche in questo segmento dopo che la gamma ETF di BlackRock aveva già da poco rinunciato a centinaia di milioni per adeguare il proprio regime commissionale a quello imposto da sui plain vanilla da Vanguard. Inevitabile l’alert dell’agenzia di rating sul possibile inizio di una corsa al ribasso dei prezzi anche da parte di tutti i concorrenti e su altre strategie smart beta anche le più recenti e onerose multifattoriali. L’ambizione di GSAM di riuscire, nonostante l’ingresso recente sul mercato ETF, a guadagnare quote di mercato puntando sugli smart beta ma a costi estremamente ridotti (di essere “la Vanguard degli smart beta”, come la definisce Bloomberg Intelligence) era già evidente nel 2015, quando sorprese il mercato con il lancio del Goldman Sachs ActiveBeta US Large Cap Equity ETF, ossia proprio un multifattoriale low cost con solo lo 0.09% di fee che ad oggi ha superato i due miliardi di AUM. Secondo Moody’s, se la spinta al ribasso coinvolgesse, come prevedibile, l’intero mercato smart beta, la riduzione dei margini sarebbe tale da minare non solo le valutazioni di rating di BlackRock, Inc. (A1 positive), State Street Corporation (A1 stable) , WisdomTree (unrated) e Invesco Ltd. (A2 stable ) riducendo i margini della loro estesa e remunerativa gamma ETF smart beta, ma anche di impattare sui conti di quegli AM attivi sbarcati sul mercato ETF con un certo ritardo. Questi ultimi speravano di godere dei margini più interessanti tipicamente generati da un’offerta smart beta multifattoriale per compensare gli ingenti deflussi sperimentati per anni dalle relative gestioni attive, puntando sulla qualità e su indici proprietari in grado di valorizzare brand molto noti. Il riferimento va a Janus Capital Group Inc. (Baa3 Positive anche e soprattutto grazie alla fusione con Henderson), Legg Mason, Inc. (Baa1 Negative), Franklin Templeton (A1 Negative), che negli ultimi dodici mesi hanno mosso i primi passi nel mondo ETF.


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