Un matrimonio annunciato: factor indexes e ESG indexes si uniscono nella nuova gamma a firma MSCI
Un matrimonio annunciato, così si presenta l’iniziativa di MSCI che sceglie l’autunno per portare sul mercato la nuova gamma MSCI Factor ESG Target Indexes, nuovi indici che coniugano strategie beta single e multi factor con un approccio ESG proprietario che l’ index provider ha sviluppato e lanciato proprio quest’anno riscuotendo un incredibile successo (la gamma MSCI ESG Indexes vanta ormai oltre 62 miliardi di dollari benchmarked). Si tratta, nel dettaglio, di sedici nuovi indici dai quali, per ora, risulta assente una specifica categoria emerging markets (esistono indici World, Europe, USA e Japan) e che il principale index provider al mondo (con oltre 11000 miliardi di dollari investiti in prodotti benchmarked sui suoi indici e oltre 950 ETF che ne replicano l’andamento ) arriva oggi a proporre con un approccio che intende massimizzare l’esposizione al factor investing prescelto (single e multifactor) portando però un miglioramento nello score ESG della selezione di minimo il 20% rispetto all’alternativa market cap weighted (ossia l’indice di base tradizionale). Esclusi dalla selezione risulteranno i produttori di controversial weapons (cluster bombs, landmines, depleted uranium weapons, chemical and biological weapons)e i titoli ancora non coperti da rating e scoring ESG MSCI. Le ponderazioni ESG, di norma (vale per MSCI e Morningstar ad esempio), comprendono la valutazione delle controversie nelle quali le compagnie risultano attualmente coinvolte (con danni d’immagine ad esempio). I nuovi indici MSCI escludono a priori le società già coinvolte in scandali e controversie (quelle con MSCI ESG Controversy score diverso da 0). Secondo il provider, questi cambiamenti non si rifletteranno sulla composizione paese e sul breakdown settoriale con oltre variazioni oltre il +/- 5% rispetto al parent index di base. MSCI, sulla base dei dati raccolti negli ultimi 10 anni, fa notare anche i risultati dello stesso factor investing non si presumono limitati o peggio danneggiati dall’introduzione dell’approccio ESG. In parte, l’unione di un approccio factor (quality, volatility o value nel caso di MSCI) si dimostra sinergico con quello ESG in quanto sono molti gli studi che evidenziano come il focus sull’investimento sostenibile spinga a privilegiare proprio titoli con elevati standing di quality e con bassa volatilità storica, e questo limita di molto le divergenze tra le selezioni operate dai due approcci evidenziando, piuttosto, una correlazione positiva tra ESG score e caratteristiche di size, quality and low volatility. La trasversalità dell’approccio ESG, che lo rende di fatto applicabile a qualsiasi tipo di indice market cap weighted, non risulta dunque necessariamente in contrasto con metodologie di “pesatura dei titoli” alternative a quella tradizionale. Uno studio interno firmato Dimitris Melas, Global Head of Equity Research di MSCI, rivela che l’impatto ESG sulla factor esposure ricercata è poi modesto ma non identico per tutte le strategie beta: una riduzione del 7% nell’esposizione al target factor low volatility è il prezzo da pagare per introdurre un miglioramento nell’ ESG score pari al 30% mentre le strategie value sono quelle che risentono maggiormente con un’esposizione al factor di riferimento che, in funzione dello stesso ESG score enhancement, si riduce del 22%. Le evidenze non si fermano qui. Qualora si cerchi di ottenere un miglioramento nell’ESG score superiore al 30% si incorre infatti in riduzioni dell’esposizione factor che si evidenziano crescere ad un ritmo più elevato: per aumentare del 50% lo standing ESG si “pagano” addirittura riduzioni tra il 23% e il 54% dell’esposizione factor. Gli indici MSCI tradizionali e i recenti ESG sono alla base di moltissimi prodotti che sfruttano questi come “base” per l’applicazione di ulteriori selezioni basate su valutazioni factor mono o multifattoriali spesso proprietarie. La disponibilità di soluzioni standardizzate che uniscano l’approccio ESG e quello factor risponde quindi a esigenze già chiaramente esplicitate dagli issuer e nel contempo consente a MSCI di scongiurare il proliferare eccessivo di indici “altamente customizzati” sui quali il provider non può sfruttare le economie di scala che caratterizzano la sua attività e lo tutelano, tra l’altro, dal rischio che gli eccessivi costi della personalizzazione spingano gli issuer a internalizzare il processo di indexing ( tendenza, peraltro, già evidente sui bond indexes osservando gli issuers con maggiori risorse). La disponibilità di soluzioni complesse ma pronte all’uso consentirà a MSCI di ridurre i costi dell’indexing esterno per gli issuer di più grandi dimensioni ma pure di soddisfare la domanda degli issuer più piccoli desiderosi di allargare la propria gamma con alternative beta e ESG basiche. Un altro fattore da non sottovalutare è poi il recente coinvolgimento proprio degli ETF smart beta ed ESG nella fee war, inaspritasi proprio nell’ultimo mese soprattutto negli Stati Uniti con le mosse di Goldman Sachs, Vanguard e Schwab anche su questi settori emergenti. Se le expense ratio si devono ridurre anche per i prodotti tipicamente più onerosi allora devono farlo anche i costi, e l’indexing è sicuramente tra questi per gli issuers. MSCI riconosce che l’integrazione di approcci ESG e factor è ormai già un’evidenza sia a livello istituzionale che retail e che questo è in parte dovuto anche alla naturale evoluzione degli ETF verso un impiego “buy and hold”, reso possibile da strategie beta strutturate ma economiche e dalla particolare attenzione che gli issuer stanno dedicando all’ottimizzazione di prodotti tradizionali. ESG significa anche una più attenta gestione dl rischio per quelle componenti che sfuggono alle comuni valutazioni di rating e, pertanto, non sorprende che l’investimento sostenibile, nella sua ultima e più recente declinazione, sia preso in considerazione anche per allocazioni di portafoglio oltre il breve termine.
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