Abbandono dei rifiuti, l'individuazione del momento consumativo del reato
Ogni qualvolta l'attività di abbandono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento ovvero di recupero del rifiuto stesso, caratterizzandosi, pertanto, essa come una forma, per quanto elementare, di gestione del rifiuto (della quale attività potrebbe dirsi che essa costituisce il "grado zero"), la relativa illiceità penale permea di sé l'intera condotta (quindi sia la fase prodromica che quella successiva), integrando, pertanto, una fattispecie penale di durata, la cui permanenza cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella di rilascio, tutto ciò con le derivanti conseguenza anche a livello di decorrenza del termine prescrizionale. Laddove, invece, siffatta attività non costituisca l'antecedente di una successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni aventi ad oggetto appunto lo smaltimento od il recupero del rifiuto, ma racchiuda in se l'intero disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia idonea ad integrare un reato permanente; ciò in quanto, essendosi il reato pienamente perfezionato ed esaurito in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, risulterebbe del tutto irragionevole non considerarne oramai cristallizzati i profili dinamici fin dal momento dei rilascio del rifiuto, nessuna ulteriore attività residuando alla descritta condotta di abbandono. Sarà compito del giudice del merito valutare, di volta in volta, se l'azione di abbandono e deposito del rifiuto si vada ad innestare in una più articolata fase di gestione dello stesso ovvero se debba, invece, intendersi definita e conclusa in tutti i suoi elementi e non più dotata di un ulteriore dinamismo criminoso.
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