Innovazione, sviluppo sostenibile e ottimismo strategico
Cosa intendiamo per sostenibilità? Quali sfide comporta e quali strade richiede? Se ne è parlato oggi al MUSE nel dialogo coordinato dalla giornalista del Corriere della Sera Paola Pica tra gli economisti Enrico Giovannini, docente di statistica economica all'università di Roma Tor Vergata, fondatore e portavoce di ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), già presidente dell'ISTAT e Ministro del lavoro nel 2013, e Michael Jacobs, direttore della Commissione sulla giustizia economica di IPPR (Institute for Public Policy Research) e autore (con M. Mazzucato) del recente volume Laterza "Ripensare il Capitalismo".
Sostenibile è una parola "difficile" perché deve fare i conti con una disoccupazione crescente, un aumento delle morti causate da problemi ambientali, una crescita di alcune forme di disagio. C'è un forte contrasto tra economia, ambiente, dimensione sociale e istituzionale (che sono poi i quattro pilastri dello sviluppo sostenibile) perché da un lato in Italia nel 2017 abbiamo avuto un +1,5% di crescita del PIL ma di questo solo 0,6% è andato alle famiglie (e, considerando la disuguaglianza, non a tutte allo stesso modo); abbiamo emesso gas climaalteranti in misura crescente a causa delle poche piogge e quest'anno sarà uguale. In tutto questo gli occupati aumentano (considerati come teste) ma se consideriamo le unità di lavoro siamo ancora al di sotto del punto di inizio della crisi. Senza contare la rivoluzione tecnologica che sta mutando il profilo del mercato del lavoro. Cioè non stiamo producendo abbastanza per migliorare le condizioni di vita e del lavoro. Quindi crescita, ma non per tutti: solo un esempio per dire che oggi non possiamo trovare la risposta ai problemi unicamente nell'aumento di disponibilità economica. Viviamo in un cubo di Rubik e siamo lontani a trovare soluzioni che sono difficili. E la complessità non piace perché pensare prima di comunicare sembra ormai fuori moda. Ma ASviS si impegna nel diffondere una nuova consapevolezza in questa direzione, che dobbiamo inventarci un nuovo modo di costruire la società. E quindi, ci arrendiamo? Certo che no! Bisogna essere "ottimisti strategici", suggerisce Jacobs: dobbiamo mantenere viva una visione positiva del futuro, guidando i cambiamenti in modo razionale. E come possiamo coinvolgere le persone e soprattutto i giovani? Di sicuro non possiamo rinunciare a politica e istituzioni. Il cambiamento individuale è importante, ma non può bastare a livello globale perché viviamo all'interno di sistemi. E' difficile cambiare da soli: possiamo mettere i pannelli solari, ma non può bastare. Alla fine, contano le decisione politiche. E' qui - ribadisce Jacobs - che sta la possibilità di cambiare, favorendo mutamenti di sistema in cui, certo, le azioni individuali si situano. Servono politiche che incidano anche sul mercato come è accaduto con l'energia solare favorita da tecnologie (fattore fondamentale di sviluppo e di sostenibilità), politica pubblica, normativa, comportamenti individuali che si sono integrati in un favorevole circolo virtuoso. E i giovani, anche considerando questo, devono mettersi in gioco, soprattutto in politica. Di fronte a un contesto complesso e a rischio, dobbiamo evitare - sostiene Giovannini - la “distopia” come visione negativa del futuro che porta rinunciare, a rinchiuderci in noi stessi; ancor più la “retrotopia” cioè la visione illusoria che possiamo risolvere le sfide di oggi ritornando al passato; dobbiamo invece abbracciare una sana “utopia” che non è superficiale visione ottimistica verso il futuro bensì - come ha sostenuto anche Jacobs - una lucida consapevolezza che porti a una gestione strategica delle sfide. In questo è fondamentale un cambio di paradigma: bisogna riconoscere che il futuro sarà diverso dagli ultimi 60 anni ed è necessario (ri)mettere al centro la persona, non solo come destinataria di reddito e sostegno economico, ma come protagonista di scolarizzazione, formazione, cultura, protagonismo sociale. In sintesi, un'inclusione attiva, nel lavoro come nella vita sociale. Un messaggio positivo: la sfida non è facile, ma è (ancora) certamente possibile credere e battersi per sognare e, ancor più, realizzare un’utopia. Un'utopia che può avere vita anche all'interno del capitalismo: il cambiamento radicale possibile e urgente è all'interno dei sistemi in cui siamo già. Esiste un modello circolare di capitalismo che limita lo sfruttamento e la produzione di rifiuti che dobbiamo sostenere. Dobbiamo trovare il modo per far ri-circolare le risorse a beneficio di tutti: è possibile, proviamoci.