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Franco Nones, il "piccolo gigante" che scrisse la storia


Franco Nones

Quando Rolly Marchi, dalle colonne del Giorno, si spinge a prevedere che Franco Nones prima o poi salirà su un podio olimpico, pochi lo prendono sul serio. Il giornalista trentino è un grande conoscitore degli sport della montagna e segue i Giochi invernali dal 1936: tutti lo rispettano e ne riconoscono la grande competenza. Tuttavia, fino ad allora, le medaglie olimpiche dello sci di fondo sono tutte finite nel carniere di Svezia, Norvegia, Finlandia e (più di recente) Unione Sovietica. Ai mondiali, il poker dei dominatori ha lasciato per strada medaglie, anche d'oro. Ma sotto i cinque cerchi no: la fiamma di Olimpia è un loro ambito esclusivo. Quasi fosse un confine invalicabile difeso, appunto, dal fuoco.

E' vero: Nones – "il piccolino azzurro", come lo chiamano - si è portato a casa un bronzo in staffetta ai mondiali di Oslo, ha vinto due volte alle "classiche" di Fåker e a Kuopio, ha conquistato Älvdalen e Rovaniemi – competizioni, queste, prestigiose e frequentate da agguerriti avversari nordici. Ma per molti osservatori, le piste di Olimpia sono un'altra cosa. Off limits.

Così il 7 febbraio 1968 - giorno in cui è in programma la 30 km, gara di esordio del fondo ai Giochi Olimpici di Grenoble - la delegazione azzurra se ne va a vedere lo sci alpino, che quel giorno non assegna neppure una medaglia. Dirigenti del Coni - e con loro i giornalisti -corrono ad ammirare la classe di Jean-Claude Killy, il fenomeno francese che ha vinto la prima coppa del mondo e si sta apprestando a mettersi in saccoccia la seconda. Nel 27enne fondista di Castello di Fiemme sembra non credere nessuno. Nessuno a parte Rolly Marchi. Lui è a Autrans, villaggio adagiato sul Vercors, che ospita la 30 km. Il cantore delle montagne ha portato con sé penna e taccuino, ma anche la macchina fotografica. Se lo sente dentro: quel giorno succederà qualcosa di grosso. E, anche a costo di andare in direzione ostinata e contraria, vuole esserci, e documentarla. Per intero.


Eero Mäntyranta ai Giochi Olimpici Invernali di Innsbruck 1964, dove conquistò due ori olimpici e un argento

A Autrans la temperatura è di -7. Il percorso della gara è interessante e vivace: tre giri di 10 chilometri ciascuno con salite molto impegnative e discese. Sembra quasi una tappa del Tour de France - che in queste zone è grande protagonista d'estate - con gran premi della montagna in serie e improvvise picchiate, dove i ritardatari cercano di recuperare i distacchi maturati nel corso delle scalate.

La gara ha un superfavorito: Eero Mäntyranta, il marziano. Una vera macchina da guerra, che si presenta con un curriculum da paura: tre vittorie e un secondo posto olimpici, due ori, due argenti e un bronzo mondiali. Lasciando da parte le staffette, il finlandese ha vinto la 15 e la 30 km ai Giochi precedenti (Innsbruck 1964, valevole – come tutte le kermesse olimpiche del tempo – anche come titolo iridato) e la 30 agli ultimi due mondiali (Zakopane 1962, Oslo 1966). Insomma: per Mäntyranta i 30mila metri sono il giardino di casa e la sua vittoria sembra fuori discussione. Tra i probabili avversari ci sono altri nordici, come i norvegesi Gjermund Eggen (campione del mondo uscente nella 15 e nella 50 km), Harald Grønningen e Odd-Willy Martinsen e la promessa svedese Gunnar Hulan Larsson.

Nones è fra le teste di serie, ma non è dato tra i grandi favoriti: forse perché non è scandinavo. Ma quando parte - con il numero 26 - lascia gli spettatori a bocca aperta. Il suo ritmo è forsennato, sembra quasi che la gara non sia di 30 chilometri, ma di mille metri: il "piccolino azzurro" aggredisce la neve, quasi ci nuotasse: l'andatura è pazzesca. Martinsen e Mäntyranta partono dopo di lui (la 30 km è una gara a cronometro); Eggen invece ha preso il via 30 secondi prima, ma al quinto chilometro è già dietro Nones. Il trentino aggredisce le salite e letteralmente vola in discesa. Tutti sbalorditi, a partire dallo svedese Bengt Nilsson, allenatore degli azzurri. Che, appostato al sesto chilometro, inizialmente non ci crede. Pensa che l'ordine di partenza che gli hanno dato sia sbagliato, che Eggen abbia preso il via prima di Nones. Ma poi capisce che è tutto vero. E allora esclama: “Franco, tu primo, tu andare!". E' fuori di sè dalla gioia. Anche perché Mäntyranta, l'extraterrestre, il favorito numero uno, è in ritardo. Al decimo chilometro, cioè a un terzo di gara, Nones gli ha rifilato 30 secondi, mentre a 34 c'è il norvegese Martinsen.



Rolly Marchi

Tutto sta nel mantenere l'andatura. Nel superare il temuto calo di metà gara. E nel contenere Mäntyranta, che è un fuoriclasse e può provare la rimonta già dal secondo giro. Cosa che, come da manuale, avviene. Il finlandese spinge ai limiti e recupera secondo su secondo. Al ventesimo chilometro, il suo distacco da Nones è ormai ridotto a 4 secondi. L'aggancio sembra imminente. In una situazione del genere, è facile mollare il colpo, risparmiare energie per portarsi a casa almeno l'argento, dato che Martinsen è terzo, a distanza di sicurezza. Oppure, è possibile tentare il tutto per tutto, puntare troppo alto e cedere. Scilla o Cariddi.

Nones non ci casca, tiene il suo ritmo, non forza oltre. Gioca di cervello. E ferma l'assalto di Mäntyranta: per un po', tra i due è testa a testa: Nones non molla la testa della gara, il suo inseguitore segue a un niente.

Finché accade l'impensabile: il finlandese, a sei chilometri dal traguardo, scoppia. Nones va forte, lui per recuperare ha dato troppo. E per questo va fuori giri. In soli quattro chilometri perde oltre un minuto: una vera enormità. Si fa passare anche da Martinsen, che chiude con un argento, a 49 secondi da Nones. Mäntyranta è terzo a 1'17". Il suo ciclo è finito.

Fino a quando l'ultimo fondista ha tagliato il traguardo, Nones non si fida. Non ci crede. Aspetta tutti, aspetta Mäntyranta. Esulta solo quando lo speaker lo proclama vincitore: la sua lunga attesa, che lo costringe fermo, al freddo, gli procurerà una tracheite. Ma nulla può frenare la sua festa. Con i dirigenti del fondo azzurro. E con Rolly Marchi, l'unico che ci ha creduto davvero. Proprio il giornalista-scrittore avrebbe raccontato che, nel corso di quel pranzo celebrativo, si sarebbero palesati quattro atleti norvegesi con un mazzo di fiori. Per lui, per il vincitore. Per congratularsi. Ma anche per gratitudine. Dopo una sconfitta? Sì perché, avrebbe spiegato Nones, il suo trionfo aveva allargato l'ambito dello sci di fondo dall'ambito nordico-sovietico in cui era stato confinato. Rendendolo un fenomeno diffuso.

Quel 7 febbraio, il primo uomo delle Alpi aveva vinto un oro olimpico nel fondo. Portando lo sci nordico a essere anche alpino. Pochi anni dopo, l'immenso Ingemar Stenmark avrebbe ricambiato il favore: con il suo lungo dominio in slalom e gigante, lo svedese avrebbe reso "nordico" lo sci alpino. Ma questa è ancora un'altra storia.


Maurizio Giuseppe Montagna

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