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Emanuele L. Basso Ricci

I grandi ETF issuers chiedono più trasparenza

Una nuova nomenclatura anche per il mercato statunitense, strutturata sul consolidato trittico ETF ETC ETN da sempre adottato in Europa, ma anche una netta “bocciatura” per i prodotti in leva, short o comunque non dotati di un tradizionale sistema di creation redemption tipico dei replicanti più diffusi, questi costretti a privarsi della certo inappropriata qualifica di ETF in funzione di una più generica ma versatile sigla ETI ad evidenziarne la differente struttura. Questa è, in breve, l'ambizione dei big issuers mondiali, proposta nero su bianco a Nasdaq, NYSE e Cboe. Si vuole insomma chiarire la netta distinzione tra gli ETF quali veicolo d'investimento (ambizione dei più recenti replicanti core) idoneo , alla pari dei fondi tradizionali attivamente gestiti, anche al medio o lungo termine e tutto ciò che invece , per quanto versatile, può essere etichettato come diverso e quindi potenzialmente"speculativo". Se aggiungiamo le implicazioni relative ad eventi come la nascita degli ETP illiquidi, la diffusione di quelli che optano per la non pubblicazione dei propri portafogli e il successo delle strutture prodotto che incorporano strategie in derivati, il bisogno di maggiore chiarezza si percepisce in effetti urgente, specialmente a livello retail. Il tutto è perfettamente in linea con il modello europeo, il quale, probabilmente, dovrà però a sua volta introdurre la famiglia ETI. Alla fine di un decennio di successi ottenuti sovra performando i gestori con la mera replica degli indici e commissioni di pochi punti base, gli ETF sono forse maturi per essere preferiti ai fondi, a patto di rendersi conto che quello all'orizzonte sarà un periodo quasi certamente meno lineare rispetto a quello che ha portato alla più lunga bull ran della storia. La Fed, per la prima volta, ha comprato ETF obbligazionari fisici per sostenere l'economia. Già questa evidenza basterebbe per comprendere il peso specifico di una struttura o di una sigla, specialmente sotto il profilo del rischio quanto anche l'importanza che tali strumenti e la loro liquidità hanno ormai per il mercato. La nuova nomenclatura proposta arriva con le pesanti firme di BlackRock, Vanguard, State Street Global Advisors, Invesco, Charles Schwab, e Fidelity , issuers che con oltre il 90% degli AUM del mercato statunitense dei replicanti, suggeriscono un sistema che, almeno in linea teorica, dovrebbe tutelare maggiormente l'investitore soprattutto non professionale da brutte sorprese" brandizzando gli ETF quale new normal per l'investimento collettivo del risparmio". Già 10 anni fa iShares, leader mondiale, propose la stessa tassonomia alle istituzioni europee, dando origine all'età d'oro dei replicanti anche in Europa. In un periodo nel quale le forti fluttuazioni del mercato hanno generato situazioni limite soprattutto per i replicanti dotati di leva ( futures) con addirittura le esposizioni sul greggio a mostrare dinamiche di contango a dir poco estreme (quotazione profondamente negativa del future in scadenza), i grandi issuers vogliono porre l'accento sui i minori rischi degli ETF in senso stretto, suscitando la reazione di quella parte di mercato costituita da piccoli ma estremamente innovativi emittenti specializzati proprio nelle esposizioni in leva, short e relative strategie. Questi, che fanno dell'innovazione l'unica difesa conto l'egemonia dei leader, bollano prontamente l'iniziativa come un mero tentativo di danneggiarli facendo della sigla ETF una sorta di brand esclusivo riservato a chi ha la struttura necessaria per proporre questi strumenti a costi accessibili. La pressione dei big sugli exchanges potrebbe insomma arginare l' innovazione prodotto, questa alla base del successo dei replicanti come pure la fee war che ha portato l'investitore a godere di commissioni molto più contenute prefigurando potenzialmente anche un'inversione nella dinamica delle fees stesse. Va però notato che proprio questi issuers, come gli stessi big dell'asset management, potrebbero invece trarre vantaggio dalla creazione di una categoria a parte sotto il generico acronimo di Exhange Traded Investments la quale aprirebbe la porta ad una inedita libertà di manovra per un settore che sembra sempre più orientato anche verso l'offerta di prodotti complessi in taluni casi più simili ai certificati, un altro ramo di business che negli ultimi anni ha avuto evidente successo. Due sistemi, due velocità e forse due regimi commissionali molto diversi, insomma. Un sistema di classificazione reso omogeneo su scala globale porterebbe poi ad una notevole semplificazione del cross listing degli strumenti su diversi listini eliminando, de facto, buona parte dei problemi di compatibilità tra diversi quadri legislativi, e quelle tensioni sulla liquidità che molti investitori dovrebbero tenere sotto più stretta osservazione, soprattutto in periodi incerti come questo.

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